vicino lì

Gerardo è un omone grosso e con le fessure degli occhi sottili, li tiene sempre strizzati in un'espressione allegra e positiva, non smette. Entra nel treno parlando a voce alta, ma non sta urlando, il suo è proprio un tono, è la sua voce, è la voce degli scugnizzi napoletani che cominciano a urlare da un basso all'altro all'età di tre anni, si urlano addosso le peggio cose e arrivati a quindici anni hanno esaurito le corde vocali, le hanno consumate, bisognerebbe sostituirle se si potesse, bisognerebbe cambiarle se non si avesse la certezza che anche le nuove poi avrebbero vita corta.
Gerardo occupa due posti del treno invece di uno, perché è un irrequieto, e per la maggior parte dei vicini di vagone è molto irritante, a volte anche per me, parla al telefono raccontando tutto, ripetendo spesso le frasi che la moglie gli urla nel cellulare, assicurandosi di aver capito tutto più volte; è davvero irrequieto, ma un irrequieto inconsapevole, come i bambini che non hanno avuto i genitori o degli animali non abituati o non domati.
Quando esce dal vagone, qualche fermata prima di me, attraversa il corridoio e incrocia i miei occhi, e mi sorride nello stesso istante in cui sorrido a lui, d'istinto, lui come me, senza pensarci, senza fraintendere, senza malizia, consegnandomi lo stesso sorriso mio, un sorriso che forse nessun altro nel treno e tra la gente potrebbe capire quanto sia normale, naturale, umano, mio suo e nostro, ma non per tutti.

Sezione: 
Catemera