diario minimo
Sono le chiavi di un’abitazione della quale non resta più pietra…
[Anna Achmatova]
- La signora è di Acquaviva?
Ancora non mi abituo. Non mi abituo al fatto che mi si chiami signora. Non è vanità, è che mi sento infantile.
Ma la gente interpreta i miei anelli come segni certi del mio status, e io me lo dimentico.
Il nome Acquaviva per me ora ha solo questo ricordo attaccato: una sosta in autogrill prima di far fondere il motore.
Il benzinaio per fortuna mi aveva fatto notare la puzza di olio bruciato consigliandomi giustamente di cambiare l’olio.
Olio e acqua. L’uno dentro, l’altra fuori.
Mi ero fermata in stazione con gli occhi gonfi di pianto, quanto lo possono essere dopo uno scroscio a dirotto, direttamente da dentro, senza passar per gli occhi. Ero quasi stupita che fossero gli occhi, a essere gonfi, e non qualcos’altro. Quanto lo possono essere dopo un pianto a dirotto, nel bel mezzo dell’estate, col caldo che ti asciuga le lacrime prima che riescano a bagnarti i vestiti.
Gli occhi rossi e gonfi impressionano sempre, e certo avevano turbato quell’uomo.
Io, non avevo capito il senso della domanda.
Nel mio vuoto lui ripeté con cortesia:
- La signora è di queste parti?
- Ah! Ho capito.
- Mi sembrava un volto familiare, non so, magari vive da queste parti.
- No, decisamente no.
- Mi scusi, non volevo infastidirla. Somiglia molto a una ragazza che vedo spesso ad Acquaviva.
- Non mi ha dato fastidio – dissi sorridendo.
La signora è di acquaviva. Ne sono fatta, sì.
E di acqua viva dentro di me ce n’era tanta quel giorno, ma ho dovuto buttarla fuori, e purtroppo non ce l’ha fatta: non si è salvata, è morta.
L’altra Acquaviva, quella con la maiuscola, mi faceva rabbia. Pur non conoscendola, ero furiosa per il fatto di doverla associare a qualcosa di doloroso. Di dover associare un nome così bello e musicale a cose così penose.
Quel giorno venivo direttamente da Taranto o quasi Taranto.
Dovevo tornare solo a Napoli, era poca cosa.
Eppure, ebbi la tentazione di farlo, ma passando da Firenze. Sì, non il contrario. Di arrivare a Napoli risalendo l’Adriatico e ridiscendendo dall’Appennino. Sarebbe stato il mio viaggio privato. Ero partita così presto che ne avrei avuto decisamente tutto il tempo. La macchina e l’autostrada mi rendono sempre follemente coraggiosa.
Come in tutti i viaggi di distacco, riaccendendo la radio ci trovai Sting. La solita beffa crudele.
Alle sei di mattina, l’alba su Taranto mi aveva inseguito. Avevo faticato molto a distinguere le sfumature di colore, con gli occhi appannati.
Con tutta quell’acqua viva, avrei voluto spegnerla.
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