el malòn

Arrivai trafelata all'inizio del corridoio, solo per vedere la tua schiena dimenticarsi di me. Era la fine di febbraio e non c'era alcun freddo che ci rendesse piacevole l'attrito. Era per sempre e non trovavo più gli interruttori. Salendo le scale avevo trovato quella nebbia strana che l'ospedale faceva entrare a volte, quella nebbia che serviva a mimetizzarsi per non rischiare di incontrare volti noti, e invalidare tutto il lavoro dei medici.
Eri sempre stato tu quello contrario a questo genere di cose, dicevi che era contro natura e che l'essere umano non dovrebbe alterare poi così tanto lo stato mentale in cui nasce, che già ci pensa da solo con tutte le paranoie che è portato a farsi durante la vita.
Stavo per non salire. Ho parcheggiato poco lontano, poi al cancello di ingresso mi sono appoggiata alle sbarre e mi sono chiesta se avessi il diritto di interferire, solo perché in quanto parte offesa mi sentivo chiamata in causa. Non ero la ragione della tua scelta di cancellarmi, anzi, era solo un effetto collaterale. Nella tua visione distorta era un atteggiamento puramente egoistico, quello di cancellare i tuoi sbagli perché dimostravano che non avevi voluto accettare i miei consigli. Questione di orgoglio: io preferivo pensare che non volessi ricordare di avermi fatto del male, visto che io avrei continuato a ricordare tutto.
A un certo punto una macchina con dentro qualcuno di importante si avvicinò al cancello per entrare; ero così distratta che quando col telecomando lo fece aprire, per poco una delle due ante non mi prese in volto. Un po' smarrita ma ancora indecisa, entrai e mi avviai su verso il tuo reparto. Nella nebbia pensavo ancora di avere il tempo di decidere: alla fine delle scale avevo praticamente giurato a me stessa che ti avrei fermato, o che almeno mi sarei fatta vedere, visto che, come mi avevi raccontato prima di iniziare la procedura, ti avevano raccomandato di non fare alcun incontro nella prima mezz'ora, perché era la fascia di tempo critica in cui vedere volti noti era rischioso, e si correva il pericolo di sconvolgere la fase di creazione della memoria alternativa.
Ora so che non avresti dovuto dirmelo, anche perché in quella mezz'ora c'erano solo quei dieci secondi di rischio, in cui saresti stato accompagnato dalla camera di lavaggio a quella di attesa, protetta all'ingresso da due guardie, proprio per evitare ospiti inopportuni.
Avevo appena deciso di volerci provare, ma ovviamente non conoscevo questi particolari. Immaginavo fosse tutto semplice, che il personale medico si fidasse e fosse moderatamente attento. Ma dal fondo del corridoio mi resi conto che avevo poco tempo.
Raccolsi le energie e cominciai a correre, mentre tu imboccavi la curva che ti avrebbe portato alla stanza di attesa: quando arrivai alla stessa curva, fu un istante capire che non avevo più possibilità di convincerti, e che tutta la mia voglia non mi avrebbe ridato indietro i nostri giorni.
Mi fermai, ansimante, con la schiena a riposare al muro, e le due guardie con dolcezza mi sorrisero.

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