sei settembre duemilasette
Cammino tra le rocce le persone sono rocce perché non ho speranze e o le frantumo o le devo scalare aggirare scavalcare senza entrarci e più che altro camminate camminate veloci sempre più uguali. Muri pisciati che al primo raggio di sole si allargano a dismisura, mura pisciate che inseguono me e i disattenti viandanti e mentre ci inseguono rimangono là per sicurezza per essere pisciati di nuovo, stasera, domani, quando sarà? Non lo so, lo sanno meglio loro. Poi quando mi siedo compio gesti inutili, gesti drammatici, movimenti teatrali, insceno storie che hanno senso solo se qualche casuale osservatore crede che siano vere e stamattina ho camminato per un intero viale zoppicando, e con una mano che stringeva forte la coscia, solo per sperimentare, solo per capire se attiravo l'attenzione di qualcuno per la strada e magari qualche commessa in pausa sulla soglia del negozio. E infine mi siedo, prendo posizione in uno spazietto rigorosamente al sole, mi rilasso e comincio a ruotare la testa da una parte, e faccio finta di guardare le persone mentre in realtà penso solo ai cazzi miei, o viceversa faccio per evitare sguardi e ignorare i vicini e intanto scruto e succhio e invento storie per renderli più interessanti, solo per far passare il tempo, solo per vedermi passare il tempo. È quando finalmente mi accorgo che in questo, per la prima volta in vita mia, non c'è traccia di malinconia o malumore, è allora che mi viene voglia di parlarne, di parlare a me stessa di cosa sono e sono diventata, oppure ero e non volevo più essere perché avevo gettato la spugna.
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