in the cold light of morning

Il giorno finale le pietre sarebbero state il mio inizio, e io il loro fondo. Avevo la pelle innaturalmente bianca, tanto da non sembrare luglio. Io che mi sono sempre scurita come se non fossi bionda, ero pallida escavata, e chiara per consunzione. Non che non fossi stata al sole, ma il nero si era scolorito, come per eccesso di lavaggi. E quel che era fuori, si rifletteva dentro; no, non il contrario.
Il giorno dopo la fine, anzi, preciso: come una postfazione, si trattava di saldare le bollette e disdire i contratti. Presi a guidare la tua macchina per farti godere il panorama, e mi sembrava di stare in un cartone animato di Bruno Bozzetto, sentivo che al mio passaggio la strada si richiudeva dietro, si arrotolava, si sistemava a mo' di liquirizia, perché io odio la liquirizia finta e al termine del viaggio non l'avrei mai srotolata per riassaporarla.
Sulle pietre aguzze che mi graffiavano le gambe e il culo ero semplicemente immobile, come in preda a un'enorme ferita. Come? Lo ero. Sentivo che ad ogni movimento avrei generato fitte di dolore ai punti, ai lembi di pelle, agli organi interni. Me ne stavo ferma per paura. Il panino migliore del mondo al prezzo più basso mai visto finì per farsi strada tra le macerie delle lacrime ingoiate. Tu mi guardavi, ma io non c'ero. L'acqua scintillava, ma io non la vedevo.  Eri lì con me, e non so se io ero lì con te.
Risalendo gli infiniti chilometri il sole incendiato aveva bisogno di acqua.

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