prodotto non conforme

Conforme. Quando mia madre mi aspettava voleva un maschio. Quando aspettava mio fratello due anni dopo voleva una femmina. Obbediente alle aspettative, middlesex, capatosta, disobbediente a tutto il resto, ambivalente, probabilmente bipolare. Ho assecondato i desideri e i bisogni noti e anche quelli inespressi di chi mi amava concependomi e poi aspettandomi sapeva che mi avrebbe amato comunque. Ho cercato di dare forma a me guardando l'unica forma che avevo a disposizione, e poi ho cominciato a scavare dentro per capire cosa c'era di predisposto e organizzato e quali margini di modifica avevo tra le mani.

Non conforme. Dopo, non ho mai amato conformarmi pur mentre ne soffrivo le conseguenze. Mi sembrava di confondermi invece che amalgamarmi. Non amavo le feste, i festeggiamenti, la discoteca, le uscite in gruppo eppure desideravo allo spasimo assaggiare il senso di appartenenza, il mescolamento; immagino però che l'unica sua forza fosse quella di tener tutto insieme come un collante, senza che alcuno dei legami potesse diventare più intenso e profondo, perché avrebbe sbilanciato il gruppo e generato una gravità propria troppo intensa. Mi accorsi in ritardo che gli altri compagni di classe di pomeriggio si incontravano, si cercavano, facevano gite o viaggi insieme, si tenevano in contatto d'estate, e non perché non fossi una persona interessante, ma perché non ero io a farlo con loro. Mi accorsi troppo tardi anche di piacere agli altri, quando ormai gli altri erano andati via e il nostro quotidiano era roba passata. Come, non te ne sei resa conto? Ci piacevi, a noi maschi della classe, tu piacevi tanto a tanti di noi. Eppure chissà che effetto respingente devo aver fatto, sempre così pronta a puntualizzare la mia differenza, sempre così sicura di non voler accettare le convenzioni solo perché erano quelle che mi avrebbero tenuto dentro al gruppo.

Conforme. Il mio primo ragazzo fu scrutato con ansia, atteso, sondato e esplorato dalle mie compagne quasi più che da me. In quel momento era solo qualcosa che mi andava di fare, mentre per loro era la dimostrazione che arrivavo ad una tappa della mia vita in modo più o meno analogo al loro, e quindi sembravo più strana e alienata nelle apparenze, di quanto non fossi in realtà. Certo, probabilmente avrei potuto migliorare in seguito, suppongo che la bruttezza del ragazzo fosse compensata, per loro, dal fatto che aveva otto anni più di me e quindi per questo meritavo rispetto. Suppongo che questo facesse aumentare i punti sulla mia scheda personale. Ebbi con lui una prima volta banale, non particolarmente intensa, ma non quella che raccontai a loro, un paio di mesi prima di quella vera. Non furono davvero bugie, solo omissioni. Tutta la preparazione alla giornata era stata reale, ma arrivati al punto c'erano stati degli intoppi e avevamo rimandato. Avevo così tanta voglia di non sentirmi più la loro ansia addosso che semplicemente conclusi frettolosamente il racconto, come se non avessi più voglia di scendere nei particolari. A loro sembrò bastare.

Non conforme. La mia prima volta, quella vera, venne poco dopo. Non so se dall'esterno sembrai assumere atteggiamenti diversi, non so se cambiai al punto da permettere loro di cogliere qualcosa. Certo è che, innamorata o no, appagata o no, grande o piccola, venne fuori di più la mia natura goduriosa, aperta e libera. Priva dell'ultimo inutile tabù del pudore e della pudicizia femminili e meridionali, pur senza ostentare cominciai a rispondere alle loro domande, e a srotolare le risposte senza filtro. Peccato: peccato nel senso di 'purtroppo, non l'avessi fatto' e nel senso proprio del termine, quello che pur senza identificare esattamente perché; mi appioppava una non ben identificata colpa, legata alla mia trasparenza, cosa a cui nessuno era abituato all'epoca. E pochi lo sono ora. Un giorno, a seguito di un'infelice battuta di un professore (cos'hai oggi che sembri tutta eccitata) tutta la fila delle persone con cui ritenevo di poter parlare sghignazzarono al suon di 'certo, si eccita facilmente lei' bisbigliato da una di loro. Non me ne resi conto finché non me lo raccontarono altri. Il mio ragazzo era brutto e quindi la capacità di eccitarmi non dipendeva da lui, ma dalla mia 'colpa'. Ero di nuovo me stessa, apparentemente dentro, in realtà mai del tutto per desiderio di puntualizzazione delle mie idee.

Materiale sano e magari anche funzionante, ma obsoleto o che non rispetta tutte le caratteristiche e gli standard richiesti dalle leggi del momento. Ho tenuto gli occhi aperti, con tutte le lacrime dentro, e continuo ad aspettare il momento che almeno una di loro abbassi lo sguardo per il disagio, e non il contrario.

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