Gnastarelle
Quel che ci fa arrabbiare nelle persone più vicine, ormai l’hai capito, è innanzitutto quello che vorremmo rimproverare a noi stessi.
Lo ripeti in silenzio, e ti sembra un punto d’inizio dannatamente buono.
Se ti fa rabbia che il Viet e Galerio desiderino le foglie, è perché ti dispiace scoprirti a desiderarle.
Molto molto semplice.
Se temi che possano cedere, è perché hai paura di cedere.
Ci sono delle reclusioni minori in cui uno finisce per passare molto tempo prima di affrancarsene. Perché è proprio un improvviso atto di volontà che ne decide la fine e uno si chiede perché non ha smesso prima.
[Erri De Luca - Non ora, non qui]
Dice che tutti gli occhi per vedere hanno bisogno di lacrime, se no diventano come quelli dei pesci che all’asciutto non vedono niente e si seccano ciechi. Sono le lacrime, dice, che permettono di vedere.
I, too, sing America.
I am the darker brother.
They send me to eat in the kitchen
When company comes,
But I laugh,
And eat well,
And grow strong.
Tomorrow,
I’ll be at the table
When company comes.
Nobody’ll dare
Say to me,
«Eat in the kitchen»,
Then.
Besides,
They’ll see how beautiful I am
And be ashamed:
I, too, am America.
Parlo con Rafaniello, oggi abbiamo tempo, non vi viene la mancanza del paese vostro, chiedo. Il suo paese non c’è più, non ci sono rimasti i vivi e neppure i morti, li hanno fatti sparire tutt’insieme: “Non sento la mancanza, dice, sento la presenza. [..] Quando ti viene nostalgia, non è mancanza, è presenza, è una visita, arrivano persone, paesi, da lontano, e ti tengono un poco di compagnia”.
[…] allora scoppiano le lacrime, ora so che si dice così in italiano, perché escono e si staccano dagli occhi con uno sparo di dentro, un colpo che le spinge.
Ci salutiamo e ognuno di noi si gira e va a infilarsi nella folla di sconosciuti che avvolge tutti gli addii.
[Erri De Luca - Tre cavalli]
Vedo mare che raspa agli scogli e il bianco di unghia delle onde è il rigo che lo separa dalla terra.
Vedo la linea rossa del tramonto che separa giorno da notte, penso che il mondo è opera del re del verbo dividere e aspetto la linea che viene a staccarmi dai giorni.
E vita è un rigo lungo filato e morire è un andarsene a capo senza il corpo. E vedo le picchiate di ali dentro il cavo delle onde e neanche il pesce che ha tutto il mare per nascondersi, si salva.
E gli uccelli che volano sopra: ognuno sta solo e senza alleanza con l’altro. Loro famiglia è l’aria, non le ali degli altri e ogni uovo deposto è solitudine. E io faccio al buio di brace una frittata di solitudini e mi sfamo.
Ti amo per amore e per disgusto di uomini, ti amo perché sei integro anche se sei avanzo di altra vita, ti amo perché il pezzo che resta vale l’intero e ti amo per esclusione degli altri pezzi spersi.
Un libro non deve lenire le ferite, ma provocarne. Un libro deve essere un pericolo.
[Emil Cioran]
Maude: What kind of flower would you like to be?
Harold: I don’t know. One of these, maybe. [a daisy]
Maude: Why do you say that?
Harold: Because they’re all alike.
Maude: Oh, but they’re NOT! Look. See, some are smaller; some are fatter; some grow to the left, some to the right; some even have lost some petals. All kinds of observable differences! You see, Harold, I feel that much of the world’s sorrow comes from people who are *this* [the daisy], yet allow themselves to be treated as *that*. [the whole field of daisies]
[Harold and Maude]
Con rabbia smantellava se stessa, si frugava, nella ricerca della misteriosa forza che le impediva di essere normale, le rendeva l’esistenza difficile. Donde veniva? Cos’era? Religione no. Ormai… Etica, allora? E cosa mai è l’etica? Chi l’ha inventata? Dio? Perché certi la sentono e certi se ne infischiano? Forse è soltanto amore. Amore sviscerato, orribile, di sé, schifosa venerazione del Santo Graal che tu ritieni d’essere. La storia di Narciso: quelli sani, forti, n’escono presto, si guadagnano il mondo. I deboli, i perversi, ne restano infettati per sempre.
Il giovane la guarda negli occhi, la ascolta, poi le dice che ciò che lei chiama ricordare è in realtà un’altra cosa: Lei guarda solo il suo dimenticare, ammaliata.
Tamina approva.
E il giovane prosegue: Lo sguardo triste che lei volge indietro non è più espressione della fedeltà a un morto. Il morto è scomparso dal suo campo visivo e lei non guarda altro che il vuoto.
Il vuoto? Ma perché, allora, il suo sguardo è così pesante?
Non è pesante di ricordi, spiega il giovane, ma di rimorsi. Tamina non perdonerà mai a se stessa di aver dimenticato.
”E che cosa devo fare allora?” chiede Tamina.
”Dimenticare il suo oblio” dice il giovane.
Tamina sorride amaramente: ”Mi spieghi come si fa”.
”Non ha mai avuto voglia di partire?”.
”Sì” confessa Tamina. ”Ho una voglia terribile di partire. Ma per dove?”.
”Per un posto dove le cose sono leggere come una brezza. Dove le cose hanno perso il loro peso. Dove non esiste il rimorso”.
”Sì” dice Tamina con aria sognante. ”Andarsene dove le cose non pesano niente”.
Le parole uniscono per quello che esprimono e separano per quello che omettono.
[Jean-Luc Godard - Deux ou trois choses que je sais d'elle]
Anche se vinci, il mondo cambia, e quello che hai vinto non vale niente.
[Colin Firth intervistato da Vincenzo Mollica, Venezia 2011]
Voglio tentare di stare con te. Voglio credere che è possibile, anche se non per ora, anche da lontano. Ho bisogno di aspettare qualcuno che non somigli a nessuno e tu sei questo.
[Erri De Luca - Tu, mio]
Non riesco a guardarti, posso parlarti solo così, di fianco. Dove sono finiti i tuoi occhi che da soli portavano carezze? Sembra che non abbiano più dormito, occhi impossibili”.
Infine dopo avermi lasciato il tempo di inghiottire a secco, mi prese la mano e mi disse: “Non vedo l’ora che scendi da quella porta, dal cuore, dalla macchina. Ti prego, chiudi piano”.
Così mi sciolsi e uscii, restando ad aspettare che tirasse via le marce fino in fondo alla strada. Intorno la città ubriaca di sonno dormiva per dimenticare.
Avevo trent’anni quella sera, e nient’altro.
Cercava di ricostruire la genealogia, raggruppando aneddoti di famiglia perché io potessi ricordarli. Non me ne sono mai incuriosito. “Perché non hai figli, nessuno a cui raccontare le storie. In tanta tua generazione poligama, tu solo sei rimasto fuori dai registri di nozze. È povero un uomo senza donna, perché smette di crescere.” Diceva cose sagge, ma le diceva a una stanza vuota. Le sentivo a eco, come un rimbombo di malinconia, mi difendevo: “A una moglie avrei niente da offrire, troppo da chiedere”.
Se è davvero così, se ti senti tra parentesi, permettimi allora di infilarmici dentro, e che tutto il mondo ne rimanga fuori, che sia solo l’esponente al di fuori della parentesi e ci moltiplichi al suo interno.